Dal Libro:
"SERMONE
DEL GUARDIANO DELLA DEVOZIONE"
CAPITOLO
2
LA
DIREZIONE VERSO LA TUA RICCHEZZA
Srì Caitanyadeva è Ràdhà e Krishna
combinati. Lui è Krishna nell’umore di Ràdhà che cerca Sé stesso. E’ la
combinazione dell’aspetto positivo e negativo dell’Assoluto. La scuola di
Sankara e di altri impersonalisti sostiene che quando il positivo e il
negativo si combinano, il risultato è una specie di equilibrio. Ma in accordo
alla filosofia vaisnava, la
combinazione è dinamica. La Sua natura viene presa nella ricerca di Sé stesso,
che cerca il proprio essere positivo nell’umore del negativo. In questa
ricerca, Lui si distribuisce agli altri. Il negativo attrae il positivo, e il
positivo viene distribuito al pubblico. Questa è l’essenza di Srì Caitanyadeva.
Gli associati intimi del Signore hanno rivelato tale concezione, e in accordo
con l’intensità e con il grado della nostra fede, saremo capaci di concepirla.
LA FEDE CI CONCEDERA’ UNA CASA CONFORTEVOLE
La fede è l’unico strumento con il
quale il finito può misurare l’Infinito. Tutti gli altri metodi per esaminare
l’Infinito sono inutili. La sostanza più ampia dentro di noi è la fede. Essa può
coprire una grande distanza. Che fede possiamo avere nella fede? Temiamo la
fede cieca. Nonostante ciò, nell’Infinito, l’impossibile diventa possibile.
Tutto è possibile, ma solo la fede ha la facoltà di connetterci con l’Infinito,
mentre tutti gli altri metodi sono inutili.
Sraddhà,
fede,
può percorrere una lunga distanza. Saremo capaci di sentire e concepire che la
fede non è meramente immaginaria. Possiede una posizione tangibile, la più
efficiente posizione dentro di noi. Quando potremo disconnetterci da tutte le
fasi dell’esperienza percettibile, potremo vivere solamente nella fede. Quando
tutta la ricchezza della nostra esperienza ci avrà ingannato e tradito, la fede
ci salverà.
Tutto il bagaglio della nostra
esperienza svanirà, un giorno, con la dissoluzione finale (janma-mrtyu-jarà-vyàdhi-duhkha-dosànudarsanam, Bhagavad-gìtà 13.9),
ma la fede rimarrà, accompagnandoci fedelmente. Questo è qualcosa di innato per
la nostra anima. Con la dissoluzione finale del nostro corpo, della mente e dei
sensi, tutta la nostra esperienza dove andrà? Nessuno lo sa. Il sole, la luna,
l’etere, l’aria, tutto svanirà nella dissoluzione finale. Solamente la fede
vivrà, perfino in questa tappa. La fede è la sostanza eterna dentro di noi, e
ci è stato detto che con le risorse favorevoli della fede possiamo ritornare a
Dio, ritornare a casa. Di ritorno a casa; dolce, dolce casa! Una simile
prospettiva elevata viene data a chi si trova in questo mondo mortale, questo
cimitero, questo crematorio. Qui, tutto è destinato ad essere sotterrato.
“Un’ora inevitabile attende egualmente
La gloria del blasone, la pompa del potere,
e quanto mai abbiano donato la bellezza e la
ricchezza:
i sentieri della gloria non conducono che alla tomba”.
(8)
Elegia di Gray
Questo è il mondo dell’esperienza;
tutto conduce alla morte. Tuttavia, la fede non è traditrice. Rimarrà all’interno,
con l’anima, e dispenserà speranza, prospettiva e sostento. Che classe di sostento?
Le comodità di casa. Di ritorno a Dio, di ritorno a casa. Con tale proposta,
tale alternativa, chi può essere così sciocco da inseguire le esperienze di
questo mondo “civilizzato”? Tanto l’esperienza quanto la scienza sono le fauci
della morte.
La fede non è qualcosa di impreciso.
yà
nisà sarva-bhùtànàm, tasyàm jàgarti samyamì
yasyàm
jàgrati bhùtàni, sa nisà pasyato muneh
Bhagavad-gìtà
2,69